La Forma Tai Ji tra precisione e soggettività

La Forma Tai Ji tra precisione e soggettività

boccioniE’ opportuno domandarsi se il movimento del Tai Ji e le sue forme codificate, con la loro appagante estetica, e persino talora forza, non siano spesso diventate un congegno di nascondimento, attraverso il quale il praticante stesso si allontana sempre più dalla natura autentica e profonda del muoversi nella sua dimensione fisica e mentale…

LA PROCESSIONE ESECUTIVA……… LA FORMA TAI JI TRA PRECISIONE E SOGGETTIVITA’

Prima di addentrarsi nell’analisi del rapporto tra forma – precisione e sviluppo di una soggettività evolutiva e libera occorre domandarsi se il movimento del Tai Ji e le sue forme codificate, con la loro appagante estetica, e persino talora forza, non siano spesso diventate un congegno di nascondimento, attraverso il quale il praticante stesso si allontana sempre più dalla natura autentica e profonda del muoversi nella sua dimensione fisica e mentale.

 

Osservando buona parte del Tai Ji oggi proposto (non tutto per fortuna) si rimane a volte sconcertati, al punto da sentirsi di dire, con parole che mi permetto di prendere a prestito, che esso “……… offre uno spettacolo così compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione, che il mio occhio……. se ne ritrae con profondo disgusto! ………… domina l’imitazione cieca e balorda delle formule ereditate dal passato, imitazione che viene incoraggiata dalla doppia vigliaccheria della tradizione e della facilità……….”

Così disse Umberto Boccioni nel 1912 a proposito della scultura nel suo “Manifesto tecnico della scultura futurista”. Egli si pose il problema di rendere visibile il movimento attraverso qualcosa, la scultura appunto, che non si muove; e ci riuscì mirabilmente: la sua straordinaria opera “Forme uniche della continuità nello spazio” ci mostra un perfetto corpo Tai Ji in cui masse e onde di forza si muovono attraverso un essere che, per chi ha avuto la fortuna di vedere l’opera “dal vivo”, sembra davvero avanzare con estrema decisione verso un’imperscrutabile meta. Lo definisco un perfetto corpo Tai Ji per la potenza degli arti inferiori, del tronco e del cingolo scapolare; la testa è appena accennata, a denotare l’immersione della coscienza nella fisicità del corpo; è il movimento delle masse muscolari sconfinanti nello spazio che mostra la Consapevolezza e l’Intenzione nel loro operare profondo “…facendo vivere la linea muscolare statica nella linea – forza dinamica…….. il ponte tra l’infinito plastico esteriore e l’infinito plastico interiore…….” (U. Boccioni); e infine non vi sono braccia, in omaggio al principio Tai Ji che impone alle braccia di seguire il corpo………

A noi spetta il compito, paradossalmente simile, di svelare il movimento autentico, potremmo dire non visibile, attraverso la decodificazione del movimento visibile e di comprendere il legame che intercorre fra l’accuratezza della forma esterna (Ming Jin “La forza del lavoro visibile all’esterno”) e l’efficacia del processo ideomotorio interno (An Jinla forza invisibile“).

Che cos’è una Forma?

Tutti sanno che la maggior parte delle arti orientali si apprendono mediante forme, cioè sequenze dinamiche di gesti e movimenti, (Lu, in cinese, kata, in giapponese) e si dà per scontato che esse racchiudano i principi guida e gli elementi fondamentali del patrimonio tecnico e degli atteggiamenti posturali propri della Scuola.

Non si sa per certo come e quando esse siano state sviluppate, ma non c’è dubbio che alle origini della storia dell’uomo non vi fosse significativa differenza fra il comportamento di caccia e il combattimento con i propri simili: armi e metodi erano sostanzialmente gli stessi, nè vi era divisione sociale di compiti da questo punto di vista. E’ solo in una fase più avanzata della civiltà che si sono formate classi, temporanee o permanenti, specializzate nel combattimento; corrispondentemente, le armi e le tecniche si sono via via evolute in discipline complesse, ed è probabilmente con questa evoluzione che si è cominciato ad impiegare sequenze preordinate come strumento di apprendimento e trasmissione di atteggiamenti di base e combinazioni di tecniche di attacco e difesa, che, grazie alla costante ripetizione, divenivano istintive ed automatiche.

In alcune aree culturali la classe dei guerrieri, o almeno una parte di essa, si rese conto che i metodi di coltivazione del corpo allora impiegati potevano essere notevolmente raffinati e usati non più solo per preparare l’adepto al combattimento reale, ma anche per facilitare processi di trasformazione interiore (alchimia interna) e di evoluzione spirituale.

Tracce evidenti di questa modificazione sono rintracciabili nelle arti guerriere dell’India classica, come il Vajramusti (“Pugno-Fulmine”) che secondo alcuni studiosi faceva ampio uso di forme codificate chiamate Nata, per analogia con le danze rituali religiose, e destinate per gran parte alla coltivazione interiore. Qualcosa di simile accadde in Cina, dove alcune scuole marziali fiorirono direttamente sotto l’influenza della tradizione indiana che il semileggendario monaco-guerriero BodhiDharma trasmise nell’area del monastero Shaolin, altre, come il Tai Ji Quan (“Pugno della Suprema Polarità“) si svilupparono in stretta connessione con la cultura autoctona taoista.

A me piace pertanto, almeno nel contesto Tai Ji, definire la Forma come un Laboratorio Alchemico Mobile destinato a indurre lo sviluppo di un corpo-mente Tai Ji, ovvero a condurre l’adepto lungo uno specifico sentiero di sviluppo delle sue potenzialità latenti.

Un laboratoro è affidabile nella misura in cui conduce a termine le proprie operazioni, siano esse scientifiche o magico – religiose, con accuratezza; a maggior ragione un laboratorio che ha a che fare con la struttura profonda della nostra Natura e della nostra Vita richiederà la massima precisione perchè il risultato sia quello previsto e questo vale dai livelli più elementari di apprendimento fino a quelli più avanzati.

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La Disciplina, lo Spazio e il Tempo

La prima dimensione che si incontra nello studio della Forma ha una valenza psicologica molto importante anche se viene percepita dai più solo in modo molto indiretto; si tratta della funzione “genitoriale” della Forma, attraverso la quale il praticante apprende le regole base della “Famiglia”. La forma è Padre in quanto impone una ben precisa sequenza sostenuta dall’autorità della Tradizione ed è Madre in quanto accoglie l’adepto nella sua cornice protetta di un percorso pre-costituito dove egli può fare la sua esperienza di successi ed errori senza il timore dell’imprevisto; l’accettazione della funzione “normativa” maschile della Forma ci consente di accedere alla sua funzione “nutritiva” femminile grazie alla quale la sostanza dell’arte ci diviene gradualmente manifesta, e l’apparente caos della nostra Natura, come sotto l’effetto di un potente principio ordinatore, ci mostra a poco a poco la sua logica occulta.

La Forma, coppia primordiale Yin Yang, ci autorizza ad occupare con pienezza il nostro spazio nei limiti da essa prefissati e nel rispetto dello spazio-forma degli altri, e ci abitua alla relazione fra spazio, ritmo e tempismo (timing), ovvero la capacità di fare esattamente la cosa giusta al momento giusto. In ultima analisi, essa è lo strumento primario per manifestare la nostra esistenza in una prospettiva Tai Ji.

La Forma come Crogiuolo

Quanto detto sopra non avviene mai senza conflitti: entrare in una forma implica infatti il rinunciare alla propria “forma personale” ovvero quell’insieme di atteggiamenti e reazioni istintive che sostengono la nostra abituale postura fisica e mentale e questo suscita inevitabilmente forti resistenze; e tuttavia questa “lotta contro la Forma” è l’anima stessa dell’apprendimento Tai Ji e, se condotta con piena consapevolezza e determinazione, porterà a poco a poco a rendere fluido il nostro corpo-mente, ciò che è l’autentico obbiettivo della pratica.

E qui abbiamo la prima trappola: se riusciamo ad essere sufficientemente, ma non troppo clamorosamente, imprecisi nel nostro gesto ecco che il conflitto si attenua senza che ce ne accorgiamo, l’esecuzione della sequenza diventa abituale, ci sentiamo tranquilli e rilassati, e così possiamo rimanere quello che siamo sempre stati….

Ben diversa è la sensazione di distensione che proviamo quando abbiamo affrontato e risolto un momento difficile della nostra relazione con la Forma.

Il segno 50 dell’Yi Jing (Ding, il Crogiuolo) dice: “Il discepolo della saggezza usa correggere la posizione per cristallizzare il destino”

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Esterno e Interno

 

Quando accettiamo di aderire accuratamente alla Forma – Postura essa comincia ad esercitare una pressione su di noi; la sua natura è quella di un contenitore dinamico ma pur sempre ben delimitato per cui, quand’anche il nostro Ego abbia accettato di entrarvi, la nostra Forza Vitale vi si sente costretta e soffocata. L’unico modo che l’adepto Tai Ji ha per sciogliere questa tensione è di fare un vero e proprio salto quantico di prospettiva cominciando ad esplorare il mondo del movimento interno (An Jin “La Forza invisibile“), mondo costituito da tutte quelle sensazioni generate dai sensori interni (sensibilità propriocettiva) che il nostro cervello utilizza per regolare la postura e realizzare il gesto, e da quei piccoli aggiustamenti articolari e cambiamenti muscolari che, generando complesse catene di allineamento dinamico, consentono la trasmissione delle forze attraverso il corpo. E’ chiaro che si tratta di portare la nostra coscienza ad un livello più profondo di quello che “vede” il gesto dall’esterno, un livello adeguato a percepire segnali sottili, di bassa intensità; in termini di precisione significa essere con la coscienza nei luoghi del corpo e della mente dove le cose effettivamente accadono ed essere consapevoli di come realmente si sviluppano, anzichè della rappresentazione che la nostra mente superfciale è abituata a produrne. Ritengo che l’ascolto dei segnali interni a “bassa intensità” sia il senso nascosto nella frase dei classici del Tai Ji “Quattro once respingono mille libbre….”….” Come effetto collaterale, la scoperta di questo spazio interno, molto più vasto di quello che possiamo vedere o toccare attraverso i nostri movimenti esterni, ci fa scoprire una seconda fondamentale valenza psicologica della pratica “formale”, ovvero l’educazione a trovare un’area di libertà anche nei contesti più rigidamente strutturati senza doverli necessariamente forzare.

Quando accettiamo di aderire accuratamente alla Forma – Postura essa comincia ad esercitare una pressione su di noi; la sua natura è quella di un contenitore dinamico ma pur sempre ben delimitato per cui, quand’anche il nostro Ego abbia accettato di entrarvi, la nostra Forza Vitale vi si sente costretta e soffocata. L’unico modo che l’adepto Tai Ji ha per sciogliere questa tensione è di fare un vero e proprio salto quantico di prospettiva cominciando ad esplorare il mondo del movimento interno (“), mondo costituito da tutte quelle sensazioni generate dai sensori interni (sensibilità propriocettiva) che il nostro cervello utilizza per regolare la postura e realizzare il gesto, e da quei piccoli aggiustamenti articolari e cambiamenti muscolari che, generando complesse catene di allineamento dinamico, consentono la trasmissione delle forze attraverso il corpo. E’ chiaro che si tratta di portare la nostra coscienza ad un livello più profondo di quello che “vede” il gesto dall’esterno, un livello adeguato a ; in termini di precisione significa essere con la coscienza nei luoghi del corpo e della mente dove le cose effettivamente accadono ed essere consapevoli di come realmente si sviluppano, anzichè della rappresentazione che la nostra mente superfciale è abituata a produrne. Ritengo che l’ascolto dei segnali interni a “bassa intensità” sia il senso nascosto nella frase dei classici del Tai ….” Come effetto collaterale, la scoperta di questo spazio interno, molto più vasto di quello che possiamo vedere o toccare attraverso i nostri movimenti esterni, ci fa scoprire una seconda fondamentale valenza psicologica della pratica “formale”, ovvero l’educazione a trovare un’area di libertà anche nei contesti più rigidamente strutturati senza doverli necessariamente forzare.

Cedere, Neutralizzare, Restituire

 

Nel suo confronto con la Forma l’adepto Tai Jii segue le stesse regole che applica nel confronto con un partner; innanzitutto egli cede alla forma, non nel senso di lasciarsi andare passivamente, bensì, al contrario, nel senso di muoversi attivamente nella direzione che la Forma richiede, aderendo più accuratamente possibile al modello; non appena sente che il suo corpo sta “indossando” la postura, allora può lasciarvisi fluire dentro in modo che la forza generata dall’”ingresso” nella postura possa essere accumulata nella sua struttura resa elastica dal corretto allineamento (ciò che chiamiamo “Neutralizzare”), e poi rilasciata (“Restituire”) in quella fase di espansione che dà ad ogni postura la sua massima pienezza. In questo modo l’esecuzione della Forma diventa un potente generatore di energia che anima la Forma stessa, rendendola, pur nel rigoroso rispetto del modello, anzi, direi prorio grazie ad esso, manifestamente individuale.

Paradossalmente la Forma diviene strumento di libertà, nella misura in cui la mente, seguendo un percorso noto e riproducendo accuratamente una serie di modelli acquisiti che costituiscono la sequenza, si libera dal pensiero del “cosa fare” e si immerge nella qualità del suo fare.

La Forma: teoria corpuscolare e teoria ondulatoria

Il paradosso delle forme dinamiche è che, pur essendo il movimento-cambiamento la loro natura essenziale, tuttavia esse implicano l’assunzione sequenziale di posture ben definite, ognuna delle quali ha un nome ed un preciso significato pratico, tanto che, abitualmente, vengono considerate appunto sequenze di posture unite fra loro da cosidetti “passaggi di collegamento”.

Questa visione, che potremmo definire “corpuscolare”, della forma dinamica mette in risalto una serie di momenti significativi (le posture specifiche) unite, o se si preferisce separate, da momenti almeno in apparenza meno importanti (i passaggi di collegamento). Di fatto è l’unico approccio proponibile ad un principiante, al quale si richiede innanzitutto di acquisire quel grado di controllo del corpo che consente di attuare un “progetto posturale” in modo accurato e ripetitivo. Questa precisione “esterna” è un elemento chiave della formazione Tai Ji, in quanto rappresenta il primo gradino dell’addestramento di ciò che nel linguaggio marziale cinese è chiamato “Intenzione” (Yi), ovvero quella facoltà che implica contemporaneamente l’immagine mentale del gesto da compiersi, la sua finalità e un vasto campo di sensazioni interne che sostanziano tale immagine e inducono il corretto atteggiarsi del corpo in movimento fino alla completa attuazione del gesto previsto. Questo è probabilmente ciò che i Classici del Tai Ji descrivono sinteticamente come “Yong Yi Bu Yong Li” (Usare la Mente non usare la Forza)

Se vediamo la forma dinamica in una visione “ondulatoria” ovvero come flusso ininterrotto di onde psico-energetico-corporee caratterizzate da picchi di particolare intensità e coerenza (le posture specifiche), possiamo rivedere questo apprendimento iniziale come un processo di memorizzazione corporea della configurazione propria di questi momenti, veri e propri “attrattori” che condensano Intenzione (Yi), Energia (Qi) e Forza (Jin) secondo modelli specifici e caratteristici; una volta ottenuta una ragionevole precisione nel riprodurre questa configurazione, si passerà allo studio dei passaggi di collegamento che, a questo livello della pratica, rimarranno ancora in secondo piano rispetto alle posture, ma, grazie a questi punti cospicui ormai consolidati, da cui tali movimenti continuamente si sganciano e a cui continuamente si appoggiano, verranno appresi senza troppe difficoltà raggiungendo col tempo una certa logica tecnica ed eleganza.

Siamo dunque nel campo preliminare della precisione esterna, dapprima statica (le posture), poi dinamica (la sequenza), E’ il livello che permette di muoversi in modo coerente, equilibrato ed aggraziato e di gustare la sensazione di calma e distensione che ne deriva.

Il segno 22 dell’Yi Jing “Bi(l’adornare), in cui l’accento è posto sulla cura della presentazione esterna quale involucro adeguato per lo sviluppo di capacità più profonde, potrebbe essere preso a simbolo di questo livello.

Molti praticanti, nota dolente, si accontentano di questo livello, convinti che l’essenza del Tai Ji sia un movimento tranquillo, morbido e rilassante; Tai Ji è certamente anche questo, ma, come abbiamo accennato più sopra, c’è ben altro da scoprire sotto la superficie.                 Innanzitutto va sottolineato che il livello di precisione tradizionalmente richiesto è molto superiore a quello abitualmente ritenuto adeguato dalla nostra mentalità nel contesto delle discipline “ricreative”; uno scarto di pochi centimetri potrebbe sembrare trascurabile, mentre è sufficiente, come si comprenderà più avanti, ad impedire la realizzazione dinamica autentica della postura.

{mospagebreak title=4. Lento e Veloce}

Lento e Veloce

E’ nozione comune, ma errata, che l’essenza del Tai Ji Quan sia l’esecuzione di sequenze lente di movimenti. In realtà il Tai Ji dovrebbe insegnarci a muoverci davvero alla velocità reale della vita, ossia a cambiare con la stessa prontezza e adattabilità con cui le cose intorno a noi cambiano di continuo. Il movimento lento di per sè può al massimo garantirci delle pause di rilassamento dalla pressione della vita quotidiana, ma non ha in sè il potere di cambiare i nostri modelli reazionali.

Le scuole più tradizionali di Tai Ji Quan tramandano sia forme lente che forme veloci, eseguite alla reale velocità di combattimento. Qual è dunque il segreto delle cosiddette “forme lente”?

E’ semplice ma davvero fondamentale: non si tratta di movimento lento ma di movimento rallentato.

In altre parole, la forma viene eseguita ad un livello di velocità così ridotto che il movimento può essere percepito, analizzato e compreso nelle sue componenti elementari, potremmo dire che è come vedere un filmato al rallentatore con la possibilità di correggere e ritoccare ogni fotogramma ma senza poterne rimuovere nessuno; questo ci dà la possibilità di ristrutturare gradualmente i nostri modelli di funzionamento secondo schemi nuovi, più adeguati e tali da ottimizzare le nostre risorse. Lo studio verrà sempre eseguito ad una velocità leggermente inferiore a quella critica in cui i riflessi automatici, non ancora neutralizzati da metacircuiti più ampi ed evoluti, entrano in azione; gradualmente si aumenterà la velocità di esecuzione in modo da portare questi modelli nuovi a divenire a loro volta istintivi.

Entriamo qui nel vivo del lavoro interno Tai Ji (Nei Gong “Lavoro interno”) dove un impiego diverso, e per certi aspetti rivoluzionario, della mente è lo strumento chiave.

Tuffarsi nell’onda

Abbiamo defnito prima le posture come picchi di particolare intensità e coerenza nel flusso della forma; più correttamente diciamo che quelle che chiamiamo posture della sequenza (“La Gru bianca dispiega le Ali”, “Il Serpente striscia verso il basso“, ecc.) sono in effetti delle onde che sorgono, raggiungono un massimo di intensità e forza e gradualmente si dissolvono nell’onda successiva.

Ognuna di queste onde è stata progettata per indurre uno specifico “sentire” e “saper fare” attraverso un’accurata organizzazione dell’allineamento articolare e del tono muscolare dell’intero corpo. Quando noi isoliamo un momento di questa onda dando alla forma che il corpo ha in quel momento un nome specifico, utilizziamo un espediente didatticamente utile perché consente al principiante di formarsi dei punti di riferimento, una sorta di traccia discontinua del percorso che si andrà a costruire. Si capisce ora meglio l’importanza della precisione nell’assunzione della postura: se i punti cospicui del percorso non sono manifestati correttamente il percorso stesso non si formerà mai per il semplice fatto che tali punti non sono situati sull’onda di cui portano il nome…..

Una volta acquisita una buona forma esterna ed un buon “vissuto interno” della postura, si tratta di ricostruirla a ritroso, cioè di imparare a far sì che il flusso di cambiamenti che conduce a quella postura dalla precedente sia coerente con essa, cioè porti a quel particolare “sentire-fare” in modo logico e naturale; allora non parleremo più di “passaggi di collegamento” fra una postura e l’altra, ma piuttosto di un progressivo manifestarsi e dissolversi di quella specifica configurazione. Lo stesso processo di ascolto corporeo globale, applicato alla sequenza dei movimenti (la “Forma” propriamente detta), implica lo spostamento dell’attenzione dai picchi rappresentati dalle posture codificate al processo di cambiamento continuo, così che ciascuna delle infinite sfumature del movimento produca una specifica configurazione di mente, energia e corpo significativa quanto quelle alle quali tradizionalmente si è attribuito un nome.

 

“Una volta che l’Intenzione (“Yi” rappresentazione mentale radicata nel corpo) si muove la Forma segue e la postura si manifesta, e l’Intenzione fluisce senza interruzione…..”

 

Si dice anche che l’Intenzione è il seme del movimento ed interagisce con il corpo mediante il Qi: da questo punto di vista “Qi” deve intendersi come il patrimonio informazionale di cui la nostra mente-corpo dispone riguardo a se stessa e ai propri funzionamenti , per cui “Raffinare il Jing e trasformarlo in Qi (“Lian Jing Hua Qi”) significa far emergere dalla nostra struttura informazioni qualitativamente sempre più significative capaci di far evolvere la nostra relazione con noi stessi e con il mondo esterno.

Ogni postura-onda è caratterizzata come sappiamo da un nome, dunque ha un tema portante suo proprio che può essere definito in termini di qualcosa che accade in relazione ad un ipotetico antagonista (ad esempio “Parare e colpire con il pugno”), e questo è il tema “esterno“, ma anche in termini di qualcosa che accade nel corpo in relazione a se stesso (per esempio “come portare la forza dal piede destro al pugno destro”), e questo è il tema “interno“. Detto in altri termini, ogni onda-postura nasce come risposta ad una domanda tecnico-tattica (come rispondere a un determinato tipo di attacco?) per arrivare a porre al praticante una domanda più complessa (come organizzare la propria struttura interna per manifestare in modo efficace questa forma-funzione?).

Vista sotto questa luce, l’esecuzione della Forma è una serie continua di domande che esigono una risposta dal praticante, domande la cui complessità è ovviamente proporzionale all’esperienza e, fattore non secondario, alla curiosità del soggetto.

Da questo punto di vista lo studio delle “applicazioni della Forma” (una delle tante ossessioni che perseguitano i praticanti di ogni stile) è utile per comprendere il significato esterno del gesto, e come tale soddisfa l’ansia della mente superficiale di trovare un “senso visibile” al proprio movimento; nel contesto del lavoro interno può diventare un ostacolo al progresso perchè tende inevitabilmente ad attivare i livelli psichici meno profondi ancorandoli a segnali “forti”. In prospettiva noi dovremmo invece cercare di sentire le diverse parti del nostro corpo trascinate nel movimento con la stessa evidenza con cui ordinariamente sentiamo la resistenza del corpo di un’altra persona.

Va sottolineato che la qualità delle risposte evocabili dipende strettamente dalla capacità di mantenere una condizione di presenza mentale sufficientemente profonda almeno per la maggior parte del tempo di esecuzione della sequenza, e ciò non avviene automaticamente, data la tendenza della mente superficiale a riprendere il controllo non appena la giusta intenzione si allenta; non si tratta semplicemente di rilassarsi, ma di scegliere, un momento dopo l’altro, di scendere al massimo grado di profondità che riusciamo a raggiungere e di accorgerci di quando non siamo più lì.

Onde e Ritmo interno

Al di là del “tema portante” che distingue ogni postura conferendole una precisa individualità, esiste un filo conduttore comune a tutte le onde della sequenza, che è il loro modo di prodursi, la loro struttura interna che dobbiamo ora analizzare per comprendere meglio la natura e la finalità del movimento Tai Ji.

Il primo punto chiave da cui partiamo nella nostra pratica per imparare a generare il movimento Tai Ji è l’esperienza del particolare rapporto di risonanza che esiste fra lo stato, o tono, della mente e le differenti fasi di attività muscolare e resiratoria, e che può essere riassunto nei suoi elementi essenziali come segue:

– Quando la mente entra in uno stato di attenzione – concentrazione, ciò facilita la contrazione muscolare (e con essa la produzione di movimento del corpo nello spazio o di parti del corpo rispetto al corpo stesso) e la sua percezione. L’inspirazione si accorda perfettamente con questa fase.

-Quando la mente entra in uno stato di rilassamento, ciò facilita il rilasciamento muscolare (e con esso, nel caso in cui il corpo si stia muovendo in posizione eretta, l’acquisizione del corretto allineamento e la sua percezione), l’inizio dell’espirazione facilita l’ingresso in questa fase.

– Quando la mente affonda verso i suoi livelli più profondi, ciò facilita, a condizione che nella fase precedente si sia ottenuto il giusto allineamento strutturale, la contrazione eccentrica dei muscoli (che in questo modo accumulano la forza elastica che verrà poi rilasciata nella fase conclusiva della postura) e l’organizzazione dinamica dell’intera postura intorno al centro vitale addominale – pelvico. L’espirazione continua fino alla sua naturale conclusione.

Regolando in questo modo il rapporto fra tensione e rilasciamento nelle principali aree fisiologiche accessibili alla coscienza (psichico, neuromuscolare, respiratorio) sull’onda del movimento, si ottiene a poco a poco una progressiva “messa in fase” dell’intero sistema psico-biologico.

Tenendo presenti queste osservazioni, possiamo ora analizzare nei dettagli il prodursi di un’onda-postura nel contesto di una sequenza dinamica.

1-Sia che si tratti del primo movimento della sequenza, sia che osserviamo gli eventi da un qualsiasi punto di essa, perché si generi un movimento è necessario che non vi siano nella mente tracce di movimenti precedenti; la mente deve entrare in una condizione di “non-intenzione” che facilita l’affondamento, o radicamento, del corpo ben allineato. Paradossalmente, è proprio l’impiego di sequenze preordinate che libera la mente dal dover pensare al prossimo movimento; la memorizzazione ormai consolidata consente di impiegare un’energia minima per innescare il movimento, lasciando ampio spazio all’osservazione interna. Possiamo chiamare questa condizione “Punto Zero” o, come si usa dire nel gergo Tai JI, “ritorno alla Terra”. Per arrivare a questa condizione, nel corso dell’esecuzione della sequenza, occorre dunque svincolarsi dalla postura immediatamente precedente, e mentre il corpo si rilascia la mente comincia ad evocare l’immagine della postura successiva. Yi Jing 23 Bo (“Lo spogliare“): Il discepolo della saggezza onora la dissolvente sosta; traboccare del vuoto…..” Il ciclo respiratorio è concluso, si è nella pausa fra espiro ed inspiro successivo.

2-La mente si concentra intensamente, anche se molto brevemente, generando un’onda di contrazione muscolare che sale attraverso il corpo raccogliendolo nel suo stato ancora fluido; questa è la fase in cui vi è la maggior parte del movimento esterno del corpo e degli arti nello spazio. E’ un movimento di “apertura” (cinese “Kai”) molto visibile dall’esterno, in cui generalmente gli arti si estendono allontanandosi dal corpo, e il corpo stesso si allontana manifestamente, per così dire, dalla postura precedente. Yi Jing 3 Zhun “Il Germogliare. Sorgente, Crescere…. Il solido e il flessibile iniziano a mescolarsi…..” La sensazione che viene suggerita è “Inspirare come sollevando qualcosa attraverso il corpo”. Questo gesto interiore di forte Intenzione è fondamentale per innescare correttamente l’intero ciclo di produzione e manifestazione della postura; esso è, per così dire, l’accento che dà il ritmo alla sequenza. Inoltre esso è fondamentale per mantenere viva la Forma: il fatto che la sequenza sia predeterminata porta facilmente a darla per scontata, mentre è essenziale che ogni passaggio sia percepito come intenzionalmente causato dall’esecutore.

3-La mente si rilascia, inizia l’espirazione il corpo comincia a dirigersi verso la terra ricercando, grazie alla prevalenza di rilasciamento muscolare, il giusto allineamento; il movimento esterno diminuisce e gli arti si riavvicinano al corpo, cominciando a evidenziare la forma della postura in via di manifestazione. Yi Jing 41 Sun: “Il Diminuire: realizzare il Dao coinvolge aggiustamento davvero….. prima pesantezza e pure dopo versatilità…. Possedere direzione nell’andare….”E’ iniziato il movimento di “chiusura” (cinese “He”).

4-La mente scende in profondità, l’espirazione continua, l’intero corpo si dirige verso il centro, raggiungendo la condizione di massima stabilità, forza e compressione elastica. Il movimento esterno è minimo. Yi Jing 36 Ming Yi: La luce nascosta… la luce entra nel centro della terra…”

5-La mente si espande, come un’onda che sorge dal profondo e si dirige attraverso il corpo verso l’esterno; l’espirazione giunge alla fase conclusiva e tende a scomparire dalla coscienza, la forza elastica accumulata dai muscoli viene rilasciata provocando una leggera estensione degli arti. Yi Jing 35 Jin: “Il Prosperare. Avanzare davvero. La luce esce sopra la terra. Cedere e pure aggregarsi raggiunge il grande luminoso.” Questo è il momento di massima estrinsecazione della postura, immediatamente seguito dalla discesa verso il punto zero, e così di seguito.

 

Oltre la Forma

 

Umberto Boccioni, da me citato all’inizio, prosegue, nel suo Manifesto, con queste parole:

 

“Non vi può essere rinnovamento alcuno in un’arte se non ne viene rinnovata l’essenza, cioè la visione e la concezione della linea e delle masse che formano l’arabesco……..scoprire le nuove leggi, cioè le nuove forme che lo legano invisibilmente ma matematicamente all’infinito plastico apparente e all’infinito plastico interiore……

Per rendere un corpo in moto, io non do, certo, la traiettoria … ma mi sforzo di fissare la forma che esprime la sua continuità nello spazio…….. una continuità di forme che permette di seguire, attraverso la forma-forza che scaturisce dalla forma-reale, una nuova linea chiusa che determina il corpo nei suoi moti materiali”.

 

Dunque se la Forma è l’involucro attraverso il quale possiamo arrivare alla percezione delle forze che si muovono attraverso il nostro corpo e la nostra mente, la precisione esterna ne costituisce la cornice di base, la precisione interna è quella che ci consente di guidare queste forze e di farle interagire efficacemente con il mondo esterno. Ma a cosa ci serve tutto ciò? A essere più forti o più sani? Può darsi, ma non credo che questi debbano essere obbiettivi primari, quanto piuttosto effetti collaterali che ci possiamo aspettare da una pratica corretta. Credo piuttosto che ogni “Sforzo Saggio”, come lo chiamerebbero i Buddisti, porti sempre ad uno scioglimento di qualcosa, un alleggerimento della nostra ansia di conseguire e ottenere. Forse possiamo a poco a poco arrivare a quella che, da taoista, chiamerei la “Precisione Naturale” , ovvero l’aderire alla Natura come essa si manifesta in noi (Wu Wei).

Con mirabile concisione il maestro Buddhadasa, di scuola Vipassana, definisce il Dhamma (Dharma) come “Il segreto della Natura che è necessario conoscere per sviluppare la Vita al massimo grado di giovamento”.

Nessun “segreto” nel senso abituale del termine, nessuna “chiave magica” che i grandi maestri del passato hanno portato con sè nella tomba (altro mito negativo molto diffuso nel mondo del Tai Ji!), se non la capacità di guardare nella direzione giusta e dal punto di vista giusto. Non per niente gli alchimisti dicevano che ognuno dispone della Materia Prima dell’Opera, ma quasi tutti la sprecano giorno per giorno, considerandola priva di valore.

Infine, pur non essendo questo il tema di questa analisi, non posso non ricordare che il Tai Ji è un’arte eminentemente relazionale, e tutto ciò che impariamo ci prepara all’incontro con l’altro nel senso più ampio del termine, e questo implica una prospettiva etica di utilità sociale alla quale nessun artista marziale di qualità superiore può sfuggire. Ciò non vuole essere in alcun modo una sorta di precetto morale, quanto, ancora una volta, un’espressione della ricerca della naturalezza (Zhi Ran) che, in questo caso, significa consentire a ciò che viviamo di esprimere le proprie potenzialità: parafrasando le parole che un grande medico omeopata contemporaneo, Tomas Pablo Paschero, usava per descrivere l’incontro del medico con il paziente, dobbiamo riconoscere che l’incontro autentico con l’altro, per essere tale, ci chiede di incontrare in quel momento noi stessi, e l’efficacia della nostra Arte, qualunque cosa intendiamo con questo termine, è strettamente collegata all’armonia che riusciamo a trovare con noi stessi e con il mondo che ci circonda.

Marco Venanzi

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